Roma, luglio 1955 – Nell’atmosfera di rinascita economica e culturale degli anni ’50, una tragedia sconvolge l’Italia. Antonietta Longo, una giovane domestica siciliana, scompare in circostanze misteriose, lasciando dietro di sé un enigma che ancora oggi turba gli annali della criminologia italiana.
La storia del ritrovamento
Gli anni Cinquanta del Novecento furono gli anni del cambiamento. Furono gli anni della ripresa economica, della “dolce vita”, del cinema neorealista di Pasolini. In un’Italia che sognava, a pochi giorni dall’inizio dell’estate, una giovane domestica siciliana, scriveva al suo paese annunciando di aver trovato l’uomo della sua vita.
Antonietta Longo, era nata a Mascalucia un piccolo paese in provincia di Catania. Era rimasta orfana quando aveva solo tre anni ed era cresciuta in un convento insieme alle sue sorelle.
Da adulta Antonietta Longo aveva provveduto a mantenersi da sola lavorando prima a Camerino, e poi come cameriera presso i coniugi Gasparri, a Roma. Lasciare la famiglia e la sua terra le era costato molto, ma Antonietta Longo voleva vivere onestamente in attesa dell’uomo che l’avrebbe sposata.
Il 10 luglio 1955 per sfuggire al caldo asfissiante e afoso di Roma, Antonio Solazzi un meccanico e Luigi Barbon un sagrestano, decisero di trascorrere una giornata al lago di Albano, nel comune di Castelgandolfo, alle porte di Roma, per una gita rinfrescante.
Quando con la barca si accostarono alla riva per riposarsi, notarono qualcosa di bianco tra i cespugli. Avvicinandosi, non ci misero tanto a realizzare che quella macchia chiara non era altro che un corpo dalle sembianze femminili. Nudo e semicoperto da alcune pagine de “Il Messaggero”, datate al 5 luglio, era ripiegato tra i cespugli con le gambe rialzate.
I due uomini sollevarono i fogli stampati e si accorsero con orrore che il corpo era privo della testa. Sui fianchi e sul ventre notarono numerosi segni di arma da taglio. Inizialmente spaventati dal ritrovamento non avvisarono le forze dell’ordine che vennero allertate solo il 12 luglio, sette giorni dopo la data riportata sul quotidiano.
I fogli di giornale aiutarono solo a datare quello scempio, ma sull’identità della vittima la Polizia brancolava nel buio più totale.
Unico indizio l’età: secondo i rilievi del medico legale, il corpo apparteneva a una donna tra i 25 e i 30 anni, alta circa 1,60 m, ben conformata, abbronzata, le unghie delle mani e dei piedi laccate con lo smalto rosso.
Al polso destro il cadavere aveva un orologio d’oro bianco, marca Zeus, che segnava le ore 3,33. Probabilmente si era fermato all’ora in cui era stata uccisa. Impossibile però stabilire se quell’ora si riferisse al mattino o al pomeriggio.
Accanto al corpo i Carabinieri rinvennero un portachiavi, un orecchino con pendente triangolare e una fotografia che immortalava un uomo e una donna rimasti sconosciuti. Erano la vittima e l’assassino?
L’autopsia
Il medico legale durante l’autopsia, evidenziò che la testa era stata staccata dal corpo con una tecnica che solo un medico o un esperto in anatomia potevano conoscere. Così si suppose che l’assassino fosse un dottore.
Sul tavolo del patologo quel corpo sfigurato fornì preziosi indizi.
Prima di essere decapitata, la giovane, era stata accoltellata al ventre e alla schiena. Il patologo accertò che le erano state asportate le ovaie mentre era ancora in vita, probabilmente dopo che le era stato praticato un aborto. Il taglio della testa, che non venne trovata neanche nelle acque del lago, invece era avvenuto post mortem.
Fu anche accertato che la vittima era stata decapitata nello stesso punto in cui il suo corpo era stato ritrovato, perché il terreno sottostante era impregnato di sangue fino a una profondità di 12cm.
L’avanzato stato di decomposizione del corpo rese difficile l’identificazione, anche per la difficoltà di rilevare le impronte digitali.
L’identificazione di Antonietta Longo
Un elemento fondamentale per l’inchiesta fu l’orologio trovato al polso della ragazza: si trattava infatti di un modello molto particolare, prodotto in solo 150 esemplari. Mentre i giornalisti snocciolavano le ipotesi più fantasiose su quella che chiamarono la “decapitata di Castelgandolfo”, i poliziotti battevano tutte le gioiellerie che a Roma avevano venduto un orologio di quella marca. Furono fortunati perché di quel tipo ne era stata commercializzata solo una piccola quantità, e solo uno era stato venduto a una giovane donna che risultava scomparsa.
La descrizione fatta del corpo che era stato ritrovato in riva al lago corrispondeva a quello di una domestica, la cui scomparsa era stata denunciata dai datori di lavoro, alla fine di giugno.
Definitivo fu il confronto tra le impronte digitali ritrovate nell’abitazione dei Gasparri e quelle del cadavere. Ciò consenti il riconoscimento del corpo decapitato. Si trattava di Antonietta Longo, ragazza 30enne di origini siciliane.
La squadra omicidi, con molta difficoltà, tentò di ricostruire le vicende relative agli ultimi giorni di vita di Antonietta Longo. Si scoprì che un paio di mesi prima della morte, aveva ritirato tutti i suoi risparmi dal libretto di deposito e che aveva chiesto al datore di lavoro un mese di ferie.
Il 30 giugno Antonietta Longo aveva ritirato una lettera dalla cassetta fermo posta e il giorno dopo era sparita, con un biglietto ferroviario per la Sicilia.
Il contenuto della lettera rimase sconosciuto. Dopo alcuni giorni dall’allontanamento da casa Gasparri, precisamente il 5 luglio, Antonietta Longo inviò una lettera ai familiari in Sicilia, dove comunicava che presto si sarebbe sposata, omettendo però il nome del futuro marito.
“Fra poche ore sarò sua. Spero di sposarlo e di darvi la gioia di un nipotino”.
Probabilmente si trattava della stessa persona con la quale trascorse quei primi giorni di luglio, e che probabilmente le tolse la vita.
Durante le indagini, nel deposito to bagagli della Stazione Termini di Roma, vennero ritrovate le valigie che Antonietta Longo aveva preparato per la partenza. Al loro interno c’erano solo abiti e un piccolo corredo, ma nessuna traccia dei soldi che aveva prelevato (331.000 lire, somma ingente per l’epoca).
La famiglia Gasparri non fu in grado di fornire indicazioni su un fidanzato o una persona con cui la domestica si incontrava nei giorni liberi.
La scomparsa del denaro, che Antonietta Longo aveva faticosamente messo da parte fece ipotizzare che la ragazza potesse essere rimasta vittima di un truffatore che le aveva fatto credere di volerla sposare per poi derubarla e ucciderla avendo scoperto una gravidanza.
Furono eseguite ulteriori indagini sulla vita di Antonietta Longo, renne rintracciato e interrogato il presunto fidanzato, un uomo di nome Antonio. La sua posizione fu esaminata attentamente, ma nonostante i tanti indizi, la sua colpevolezza non fu mai provata.
Si identificarono altri corteggiatori e uomini con i quali aveva stretto dei rapporti, alcuni poco raccomandabili. Ma dell’uomo che avrebbe dovuto sposare non si trovò traccia.
Durante le indagini si fece avanti il proprietario di una trattoria di Castelgandolfo. L’uomo riferì agli inquirenti che il 5 luglio aveva noleggiato una barca a una coppia che però non aveva fatto ritorno al pontile. Il piccolo natante fu ritrovato il giorno dopo, nascosto in un canneto, con un solo remo.
Le amiche della vittima la descrissero come una ragazza per bene, gran lavoratrice ma che negli ultimi mesi appariva strana e sosteneva di avere problemi economici.
L’inchiesta venne condotta con dovizia, senza tralasciare alcun particolare ma la totale assenza di indizi portò all’archiviazione del caso nel grande libro dei delitti irrisolti d’Italia.
Gli anni seguenti alla morte di Antonietta Longo
Negli anni seguenti avvenimenti sporadici portarono alla riapertura del caso, come l’accusa di un detenuto verso il cognato, solito ingannare le donne con la promessa del matrimonio; accusa che però non trovo il minimo fondamento.
Nel 1971 vennero recapitate delle lettere anonime ai Gasparri e al Procuratore Generale della Corte d’Appello di Roma. Nella missiva indirizzata ai datori di lavoro di Antonietta si leggeva che la loro domestica era morta per emorragia in seguito a un aborto e successivamente era stata trasportata sulla riva del lago e lì decapitata.
Nell’altra, più precisa nei dettagli, si faceva il nome del presunto omicida, un certo Antonio, pilota delle linee aeree civili a capo di una banda di contrabbandieri, che era già sposato e che Antonietta Longo minacciava; la prova, secondo l’anonimo autore, era data proprio dalle numerose ferite al ventre della donna, per cancellare le tracce dell’asportazione delle ovaie, subita durante l’aborto. L’autore della lettera aggiunse anche che, per evitarne l’identificazione, l’assassino aveva decapitato la donna, disciolto la testa nell’acido e poi abbandonato il resto del corpo in un anfratto del lago.
Anche queste parole si persero nell’aria come quelle di tante altre supposizioni.
Nel 1987 un pescatore trovò un teschio umano nel lago. Il pensiero, dopo 32 anni, fu che quella testa potesse essere quella mai ritrovata di Antonietta Longo, ma le analisi appurano che quel teschio apparteneva a un uomo, e non alla decapitata del lago.
Un delitto inspiegabile e misterioso quello di Antonietta Longo che fu uno dei casi di cronaca nera più seguiti degli anni Cinquanta, decade già segnata dal celeberrimo delitto Montesi e del caso Fenaroli, altre vicende che passeranno alla storia della Criminologia Italiana.
Le spoglie di Antonietta riposano nel cimitero della natia Mascalucia ancora in attesa della verità sulla sua morte.
Una curiosità: l’orecchino e l’orologio di Antonietta Longo sono conservati al Museo Criminologico di Roma.
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