Ostia, 1953 – La morte di Wilma Montesi, una giovane donna trovata senza vita sulla spiaggia di Torvaianica, vicino Roma, si trasforma in uno degli scandali più grandi e controversi della storia italiana del dopoguerra. Questo caso, che coinvolge alta società, politica e criminalità, rimane avvolto nel mistero e continua a essere oggetto di discussione e speculazione.
La storia di Wilma Montesi
Sabato 11 aprile 1953, giorno della vigilia di Pasqua, sulla spiaggia di Torvajanica, nota località del litorale romano, venne ritrovato il corpo senza vita della ventunenne romana Wilma Montesi, scomparsa il 9 aprile precedente.
A compiere il ritrovamento alle 7:20 di mattina, fu Fortunato Bettini, un giovane manovale che, in attesa dei suoi colleghi, stava facendo colazione presso la spiaggia in località Zingarini. Ad un tratto la sua attenzione venne attratta da una massa scura sul bagnasciuga. L’uomo incuriosito si avvicinò pensando fosse un mucchio di vecchi stracci: era invece il corpo di una giovane ragazza che giaceva a faccia in giù, immerso nell’acqua solo dalla parte della testa.
Il corpo era solo parzialmente vestito: non aveva più le scarpe, la gonna, le calze e il reggicalze. Aveva invece indosso un giaccone scuro abbottonato attorno al collo a mo’ di mantellina completamente zuppo d’acqua. Gli indumenti mancanti non furono mai trovati così come non fu mai trovata nemmeno la borsa.
Alla notizia del ritrovamento i giornali dedicarono ampi articoli, anche se gli inquirenti avevano interdetto alla stampa l’accesso alla camera mortuaria dove era conservato il corpo. Tuttavia, con uno stratagemma, il cronista giudiziario del “Messaggero”, Fabrizio Menghini, riuscì a introdursi nell’edificio e a esaminare il corpo. La descrizione che ne fece il giorno dopo, sulle colonne del quotidiano romano, permise al padre della ragazza, un falegname romano, Rodolfo Montesi, di presentarsi per il riconoscimento del cadavere della figlia.
Dalla ricostruzione degli ultimi movimenti emerse che la ragazza, la sera del 9 aprile, non era rientrata a casa per cena contrariamente alle proprie abitudini.
La madre, Maria, raccontò agli inquirenti che, insieme all’altra figlia, Wanda, aveva trascorso il pomeriggio al cinema assistendo alla proiezione del film “La carrozza d’oro” e affermò anche che Wilma aveva declinato l’invito a unirsi a loro, perché non le piacevano i film con Anna Magnani, aggiungendo che forse sarebbe uscita per una passeggiata.
Al rientro, le due donne constatarono che Wilma non era in casa, ma stranamente aveva lasciato nella sua camera i documenti e alcuni gioielli di modesto valore, regalati dal fidanzato e che, abitualmente, indossava quando usciva. La portiera dello stabile di via Tagliamento 76, in cui vivevano i Montesi, affermò di averla vista uscire intorno alle 17:30 e di non averla più vista in seguito.
Alcuni testimoni affermarono di averla vista sul treno che da Roma portava a Ostia verso le 18:00. Un paio di studenti dichiararono di aver visto una ragazza simile alla foto di Wilma, insieme ad altre due, in un locale sul lido di Ostia e infine una tabaccaia, la cui attività era situata nei pressi della spiaggia della località costiera, sostenne di aver conversato con una giovane apparentemente somigliante alla Montesi, che aveva acquistato una cartolina illustrata e che gli aveva accennato l’intenzione di spedirla al fidanzato a Potenza.
Ostia però dista circa sedici chilometri da Torvajanica e ipotizzando che la morte di Wilma fosse avvenuta proprio ad Ostia restava difficile spiegare come il cadavere della ragazza avesse percorso la distanza che separava le due località balneari.
La spiegazione che dettero gli investigatori, era quella che improbabili correnti marine avessero portato il corpo della ragazza sul luogo del ritrovamento 24 ore dopo la presunta morte. Tale ipotesi però non si ritenne corretta e non fece altro che alimentare altri sospetti.
I primi rilievi portarono la polizia a orientare le indagini verso l’ipotesi del suicidio, ma perché una giovane ragazza, felice e in procinto di sposarsi si sarebbe dovuta togliere la vita? Questa fu la domanda che riecheggiò sugli organi di stampa e soprattutto tra i parenti della ventunenne. I genitori invece sostennero che la figlia era stata uccisa senza sapere il perché e nonostante mancassero le prove che potevano avvalorare la loro ipotesi.
L’autopsia su Wilma Montesi
Il corpo di Wilma Montesi, portato presso l’Istituto di Medicina Legale di Roma, venne sottoposto a esame autoptico. Dalla stessa emerse che la ragazza era ancora vergine e non aveva subito alcun tipo di violenza, come evidenziato dal fatto che il volto era perfettamente truccato e lo smalto sulle unghie delle mani era intatto.
Le cause della morte non erano chiare anche perché non vennero rinvenute né tracce di stupefacenti né di alcool nel suo corpo. L’autopsia riportò genericamente: “asfissia da annegamento, dopo essere caduta in mare, colta da improvviso malore”.
Il medico legale ricollegò il malore al fatto che la ragazza si trovasse nei giorni del ciclo mestruale unito alla congestione dovuta al gelato consumato poco prima la tragica passeggiata in riva al mare (i cui resti vennero trovati nello stomaco della ragazza) e all’acqua fredda nella quale si era immersa. In seguito a ciò venne sposata la tesi del malore improvviso: la giovane, mentre passeggiava sulla risacca, improvvisamente si sentì male, svenne e piano piano annegò in quello specchio d’acqua.
Fu proprio l’ipotesi dell’incidente ad essere considerata la più attendibile dalla polizia, che chiuse il caso, nonostante alcune stranezze.
Wilma Montesi era considerata molto bella, con qualche aspirazione di entrare nel mondo del cinema e dello spettacolo; aveva anche preso parte ad alcuni film come comparsa o in piccoli ruoli. Da tutti veniva descritta come riservata e signorile, con una vita ordinata e regolare. Era una ragazza florida, moderna, solare e con pochi grilli per la testa.
Il fatto che la vittima fosse stata rinvenuta ancora vergine escludeva tutta una serie di implicazioni che avrebbero reso la vicenda troppo scabrosa e compromettente per ricevere un tale rilievo sulla stampa nazionale.
Comprensibilmente, i genitori della Montesi si prodigarono nel dipingere la figlia defunta come una ragazza seria e morigerata, unicamente concentrata sul matrimonio imminente con Angelo, un agente di polizia, in servizio a Potenza, programmato per il Natale successivo, profondamente religiosa e legatissima ai familiari. La madre della giovane, pur insistendo pubblicamente sulla serietà e correttezza di Wilma, fu intercettata mentre si sfogava al telefono con un parente commentando che “Wilma si era rovinata da sola”.
Tuttavia, alcune amiche e vicine di casa della ragazza, subito dopo la sua morte, rivelarono aspetti di Wilma che apparentemente contraddicevano tale immagine pudica: la passione di Wilma per cosmetici, profumi, abiti costosi, l’abitudine di fumare sigarette recentemente acquisita, il possesso di accessori di lusso come una costosa borsa di pelle di antilope ed alcuni gioielli.
La domestica dei Montesi riferì che ha ragazza aveva l’abitudine di ricevere telefonate a cui rispondeva solo dopo aver chiuso le porta perché nessuno potesse udirla, e riferì anche che le due sorelle avevano frequenti scontri con la madre, che ritenevano volgare e intrattabile.
Emerse, anche, una certa insoddisfazione da parte della stessa ragazza nei confronti del fidanzato, da lei ritenuto eccessivamente geloso.
Gli inquirenti esaminarono anche un’agenda appartenuta a Wilma, sulla quale la ragazza aveva l’abitudine di copiare le lettere che si scambiava con il futuro marito, e notarono che le ultime pagine erano state strappate. Questo portò sia gli inquirenti che alcuni giornalisti a ipotizzare che il fidanzamento con Angelo fosse stato rotto, dettaglio che non fece altro che far aumentare le speculazioni su possibili altri pretendenti della ragazza.
Nonostante la chiusura del caso, la stampa si mostrò scettica, troppe cose non tornavano: gli orari dei testimoni che videro la ragazza a Ostia che non coincidevano con quelli del quartiere Trieste, le stranissime correnti che avrebbero trasportato per ore il corpo in mare senza alterare il trucco e senza rovinare lo smalto.
L’eco sulla stampa del caso Montesi
Fu grazie alla tenacia di alcuni giornalisti che scoppiò uno scandalo su diverse testate giornalistico/scandalistiche.
Il primo a pubblicare un articolo fu il giornale napoletano “Roma”, nell’articolo si parlò di un avvistamento di Wilma Montesi a Torvajanica una decina di giorni prima del ritrovamento del suo cadavere. La giovane era in compagnia del figlio di un noto personaggio italiano.
In seguito apparvero nuovi articoli sul “Paese sera”, il “Corriere della Sera” e il “Messaggero” che, sposando la tesi dell’omicidio di Wilma Montesi, pubblicarono la tesi dell’insabbiamento a favore dei colpevoli del delitto.
Ma la bomba scoppiò definitivamente con l’articolo scritto dal giovane giornalista Silvano Muto per il suo giornale “Attualità” dal titolo “La verità sulla morte di Wilma Montesi“. Il giornalista fece una ricostruzione completamente diversa da quella degli inquirenti affermando senza mezzi termini che personaggi noti del bel mondo romano, aristocratici e figli di illustri politici, si riunivano a Capocotta, nella villa del marchese Ugo Montagna, per partecipare a festini a base di sesso, droga e alcol. Festini frequentati anche da Wilma Montesi.
Secondo la ricostruzione, la giovane si sarebbe sentita male durante una di queste feste e, alcuni noti personaggi, X e Y nell’articolo, credendola morta avrebbero deciso di abbandonarne il corpo sul vicino litorale.
Muto venne convocato dalla Procura di Roma: il giornalista venne denunciato per la diffusione di notizie false e tendenziose e finì sotto processo. Ma il giornalista fece i nomi di due testimoni che lo avevano informato: Adriana Concetta Bisaccia e Marianna Augusta Moneta Caglio, denominata dalla stampa “il Cigno Nero”, per via della sua chioma corvina, gli eleganti abiti neri che era solita indossare e il lungo collo aggraziato.
La giovane, aspirante attrice ed ex amante del Montagna, confermò la presenza di Wilma ai festini nella villa di Capocotta e che Montagna e Piccioni, spaventati dal malore che aveva colto la giovane si disfarono del corpo abbandonandolo sulla spiaggia di Torvajanica.
Piero Piccioni, noto musicista e viveur romano era il fidanzato di Alida Valli, ma soprattutto era figlio di un importante notabile democristiano, il Ministro degli Esteri Attilio Piccioni, destinato ad ereditare da Alcide De Gasperi la leadership della Democrazia Cristiana, il più importante partito di Governo.
Da quel momento il caso Montesi non fu più un caso giudiziario, ma diventò un affare politico: dietro la morte della ragazza si scatenò la più grande faida mediatico-politica per la conquista del potere interno alla DC.
Lo scandalo dei festini a luci rosse di Capocotta non tardò a far sentire i suoi effetti sulla credibilità politica del ministro Piccioni e di tutto il governo. Nella primavera del 1953 l’esecutivo del presidente De Gasperi non ottenne la fiducia, tanto che il 17 agosto il presidente della Repubblica Einaudi incaricò Giulio Giuseppe Pella di formare un governo provvisorio.
Gli sviluppi della vicenda furono alquanto intricati, tanto che le indagini vennero finalmente riaperte trascinando nel vortice dello scandalo Piccioni, Montagna e il Questore di Roma, Saverio Polito, accusato di aver insabbiato l’inchiesta.
L’arresto e il processo
Il 21 settembre 1954 Piero Piccioni, insieme al marchese Montagna, vennero arrestati con l’accusa di omicidio colposo.
Nel 1955, sotto i flash delle macchine fotografiche, iniziò il processo. Nel giugno del 1955 Piccioni, Montagna e Polito furono rinviati a giudizio.
Il caso Montesi si trascinò per oltre 4 anni. Sulla vicenda la stampa italiana, divisa per appartenenze politica, seppe dare il peggio di sé.
Il processo venne spostato a Venezia, dove prese il via il 21 gennaio del 1957 quello che la stampa definì “il processo del secolo”.
Da un lato c’erano gli accusatori, tra cui Muto e la Moneta Caglio, dall’altro gli imputati.
Sul banco dei testimoni, a deporre in favore di Piero Piccioni, salì la bellissima Alida Valli, stella del cinema italiano che confermò l’alibi fornito da Piccioni: l’uomo era con lei a Ravello nei giorni precedenti la morte della ragazza e rientrò a Roma nel pomeriggio del 9 aprile 1953 perché aveva la febbre.
A confermare il tutto ci fu anche la testimonianza di un medico che affermò di averlo visitato proprio il pomeriggio del 9 aprile e che gli aveva suggerito di rimanere a letto.
È il 28 maggio 1957, quando il Tribunale di Venezia assolse, con formula piena i tre imputati dalle accuse di omicidio e possesso di stupefacenti mentre Muto, Adriana Concetta Bisaccia e quanti sostennero le accuse contro i rampolli dell’alta società romana vennero condannati per calunnia. La Moneta Caglio invece venne assolta.
Qual è la verità? La morte di Wilma fu la ghiotta occasione per minare la credibilità di un governo già traballante, oppure Wilma, aspirante attrice, si era fatta semplicemente ammaliare dal mondo delle nobiltà capitolina e, ingenua e impreparata, ne rimase vittima?
Wilma Montesi riposa nel cimitero del Verano con indosso l’abito da sposa che avrebbe dovuto indossare il giorno delle nozze. Unica sicurezza è che non morì per un pediluvio sulla spiaggia di Ostia.
Ancora oggi la morte della ventunenne ha molti punti oscuri e resta un mistero. Un probabile omicidio senza nessun colpevole.
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