Toiano, giugno 1947 – La piccola e tranquilla comunità di Toiano, un borgo incastonato nella campagna italiana, viene sconvolta da un crimine che attira l’attenzione della nazione nel tumultuoso periodo del dopoguerra e che ancora oggi è un caso irrisolto.
La storia dell’omicidio di Elvira Orlandini
Nel giugno del 1947, sale alla ribalta delle prime pagine della cronaca l’omicidio di Elvira Orlandini, conosciuto anche come l’omicidio del Corpus Domini. Un caso che sconvolse l’opinione pubblica italiana nel secondo dopoguerra. La ragazza quando fu uccisa, aveva 22 anni e a Toiano piccolo borgo toscano, Elvira Orlandini era considerata la “bellezza”, l’orgoglio del villaggio.
I suoi genitori erano contadini e la famiglia era numerosa: oltre a lei c’erano altre tre sorelle ed Elvira, per aiutare la famiglia, era stata mandata a servizio dai Salt, una ricca famiglia Svizzera.
La domenica la ragazza andava sempre ballare a Palaia, era molto corteggiata le vanità di questa preferenza che aveva sulle compagne la ripagava di tutta una settimana di duro lavoro.
Elvira era fidanzata con Ugo Ancillotti, un reduce dalla Germania che era stato amico d’infanzia della ragazza. Avrebbero dovuto sposarsi alla fine della trebbiatura da lì a pochi giorni. Il 5 giugno 1947 era il giorno del Corpus Domini e nel pomeriggio ci sarebbero stati il ballo e la processione. Elvira Orlandini era graziosa e minuta, con un sorriso contagioso che conquistava chiunque. Quel giorno era vestita a festa, con una gonna scura e una camicetta di maglia a righe verdi, rosse e blu, molto aderente, che quella mattina aveva fatto voltare la testa a tutti i giovanotti che si trovavano a messa.
Prima di tornare a casa l’avevano sentita chiedere a un’amica, la cui abitazione era situata poco lontano dalla sua, se sarebbe andata con lei a prendere l’acqua alla fontana, ma l’amica le aveva risposto di no, che non le occorreva.
Verso le due del pomeriggio Elvira Orlandini uscì di casa con la brocca e un asciugamano di iuta, per recarsi alla fontana più vicina che distava meno di mezzo chilometro. In quel momento il padre stava abbeverando i buoi, mentre la madre e le sorelle stavano riordinando la casa dopo il pranzo.
Erano passate due ore, forse meno, e la giovane non era ancora ritornata a casa. La madre Rosaria, preoccupata per quella lunga assenza e in preda a un brutto presentimento, uscì a cercarla, chiedendo a chiunque incontrava se avesse visto sua figlia. Elvira sembrava essere svanita nel nulla.
La donna si spinse fino al limitare del bosco, a pochi passi da casa. Lo sguardo di Rosaria cadde su una macchia scura che a prima vista le sembrò fosse di sangue. La donna si era fermata e aveva compiuto un gesto insensato compromettendo irrimediabilmente le indagini: aveva coperto la chiazza di sangue con un po’ di erbacce, come se la volesse nascondere agli occhi di chi passava di lì.
Era tornata indietro e svegliati i sui familiari aveva detto che Elvira Orlandini mancava da due ore e ancora non era tornata, che lei era inquieta e che bisognava pertanto, andarla a cercare.
Antonio, il padre, decise di andare insieme al cognato Giovanni alla ricerca della figlia, percorrendo la strada che portava alla fonte. Giunti sul luogo, notarono sul terreno dei segni lasciati da un corpo inerte mentre veniva trascinato contro la propria volontà. La traccia si arrestava ai margini del bosco. Il padre e lo zio di Elvira Orlandini si addentrarono in una specie di viottolo formato da un canale di scolo delle acque: sembrava che alcuni rami di quel l’intricato sottobosco fossero stati spezzati di fresco.
Fatti pochi passi, trovarono la brocca dell’acqua rovesciata per terra e le due ciabatte di Elvira Orlandini messe lì accanto, una sopra l’altra, ma per trovare il suo cadavere dovettero scendere una trentina di metri lungo il Botro della Lupa, là dove il passaggio era reso difficile da una vegetazione molto fitta.
La ragazza giaceva sul fianco, con la gola squarciata; il corpo era ancora caldo e il sangue già rappreso. Appena Antonio la vide iniziò a gridare.
Si vedeva bene che era morta ma suo padre la prese ugualmente tra braccia e la riportò su faticosamente per una ventina di metri compromettendo anche lui la scena del delitto. Qui incontrò due giovani del paese che passavano per caso e che si erano addentrati nel bosco attirati dall’urlo dell’uomo. Uno di questi giovani era stato Carabiniere e poiché la ragazza era morta gli disse di lasciarla dov’era, spiegandogli che una vittima d’omicidio non si poteva rimuovere finché non fosse arrivato il Pretore.
Erano da poco passate le cinque, in paese la processione continuava a snodarsi tra le case e la folla, assiepata lungo i muri, gettava fiori in mezzo alla strada. La notizia si propagò rapidamente, e il fidanzato lo seppe così, mentre stava per inginocchiarsi al passaggio della Madonna.
Nel frattempo la gente si radunò sulla strada e raggiunse il bosco. La processione finì in fretta e furia senza spettatori. Anche il vecchio prete si affrettò a ricondurre la Madonna in chiesa per andare a benedire la salma.
Le indagini sulla morte di Elvira Orlandini
Le indagini vennero affidate al maresciallo Leonardi di Pontedera. Per lui la cosa fu chiara fin dall’inizio: l’assassino non poteva che essere Ugo Ancillotti. I pilastri della sua tesi erano due: il promesso sposo di Elvira Orlandini era arrivato sul luogo del delitto senza che qualcuno glielo avesse indicato e quelle macchioline di sangue umano trovate sui pantaloni che portava il giorno della festa. E poi c’era l’alibi, che non lo convinceva: Ugo aveva detto che dalle 14:30 alle 17:00 del pomeriggio era rimasto a dormire e che aveva saputo della morte della sua fidanzata durante la processione. Nessuno poté confermare o smentire questo alibi, solo i suoi genitori che non potevano però testimoniare.
Il maresciallo Leonardi impiegò solo quattro giorni per raccogliere questi pochi elementi. Poi spostò le indagini sui rapporti tra Ugo e Elvira. Leonardi scoprì che qualche screzio c’era stato ma era normale in due anni di fidanzamento. La coppia si era restituita i regali per ben due volte e anche qualche tempo prima erano stati visti litigare a Pontedera. Ma quella mattina sembravano felici, alcuni testimoni affermarono di averli visti scherzare dopo la messa.
Al momento del fermo gli era stato chiesto se sapeva che Elvira Orlandini si doveva recare alla fonte, il ragazzo aveva risposto di no, ma fu ben presto smentito da Iva Pucci, che affermò il contrario, la ragazza cui Elvira Orlandini si era rivolta per essere accompagnata alla fonte.
Il maresciallo Leonardi dovendo trovare un movente scelse la gelosia, alludendo a una forma morbosa che aveva spinto Ugo a vendicarsi di qualche offesa subita.
Nonostante mancasse l’arma del delitto e non ci fosse nemmeno un testimone, Leonardi sbatté in guardina il giovane, sicuro che dopo un paio di notti insonni sarebbe crollato e avrebbe confessato l’omicidio di Elvira. Leonardi si sbagliò su tutta la linea. Quello di Elvira Orlandini si rivelò un delitto scabroso, feroce e complicatissimo.
Ugo Ancillotti non confessò mai e rimase in carcere fino al 1949 anno della sentenza.
L’ipotesi di Leonardi urtò contro l’idea che in paese si aveva di Ugo, da sempre considerato un ragazzo tranquillo, geloso sì, ma senza tanta esagerazione.
L’autopsia fatta sul corpo di Elvira Orlandini parlò di morte “per sommersione”, un coltello affilato le aveva squarciato la gola, aprendola da un orecchio all’altro e il sangue le aveva riempito i polmoni in pochi secondi. Il medico stabilì inoltre che a Elvira quando già non era più in vita le erano state inferte altre coltellate che le incisero il cranio in almeno tre punti.
Sul luogo del delitto, nonostante le ricerche effettuate non furono ritrovati né il coltello, né l’asciugamano. L’assassino si era portato via anche le mutandine di Elvira.
Il processo per la morte di Elvira Orlandini
A difendere Ancillotti arrivò Giacomo Picchiotti, parlamentare socialista e principe del Foro, coadiuvato da altri due avvocati: Gattai e Gelati.
Tutti e tre patrocinarono gratis, convinti che si trattasse di un processo indiziario a carico di un povero diavolo. Ancillotti ricevette centinaia di lettere di sostegno e il tribunale di Pisa diventò un’arena di 2000 persone. Il tifo fu da stadio, le schermaglie fra avvocati furono spesso interrotte da risate e applausi, le dichiarazioni dei testimoni furono sottoposte al verdetto mormorante del pubblico che si era diviso tra colpevolisti e innocentisti.
Il processo venne allora trasferito a Firenze, ma anche qui la presenza di curiosi fu notevole e la linea del processo non cambio di molto, perché il vizio di fondo nacque con le indagini stesse. Il maresciallo Leonardi, investigò sempre e solo su Ugo Ancillotti e quindi la posta in gioco era il destino del ragazzo: il processo fu un duello fra la famiglia Orlandini, convintasi che l’assassino fosse lui, e il resto del paese schierato a fianco del giovane.
Alla fine del dibattimento, il procuratore generale chiese 18 anni. Non si assunse il rischio di caricare la Giuria della responsabilità di un ergastolo.
Fu un errore decisivo, Gattai, Gelati e Picchiotti lo capirono e nell’arringa finale passarono all’attacco. Il castello indiziario di Leonardi si sgretolò. L’amica Iva, quella che non andò alla fonte, per esempio nella sua testimonianza ricordò di un appuntamento fra Ugo e Elvira nel bosco, che due anni prima, a poche ore dal delitto, aveva dimenticato di raccontare.
Nel Botro della Lupa furono ritrovate impronte di scarpa del numero 40 ma Ancillotti portava il 43. Le macchie sui pantaloni erano quasi microscopiche, rispetto al sangue che scaturì da uno scempio del genere. E poi dimostravano poco, erano del gruppo A: potevano appartenere sia a Elvira Orlandini sia a Ugo Ancillotti, poiché entrambi avevano lo stesso gruppo sanguigno. Il ragazzo seppe della morte della fidanzata durante la processione, senza pensarci su inforcò la bici e filò verso casa Orlandini, arrivò prima sul luogo del delitto solo perché il Botro della Lupa si trovava lungo il tragitto.
Dopo 3 ore di camera di consiglio ci fu la sentenza: Ugo Ancillotti fu assolto per insufficienza di prove. I tre avvocati evitarono un’ingiustizia, ma Elvira Orlandini la sua giustizia non l’avrà mai più.
Eppure c’erano molti elementi su cui indagare. Come una lettera in cui un anonimo consigliò a Ugo di non sposare Elvira Orlandini e in cui alludeva a un “aiuto” particolare che la ragazza aveva prestato alla carbonaia del cognato Luigi Giubbolini. Come il deperimento fisico della ragazza nelle ultime settimane di vita, il suo timore di essere incinta. Anche su quanto confidò a una maga di Pontedera: che aveva un legame con un uomo sposato e aveva anche paura di morire. Chi poteva essere quell’uomo? Il rampollo dei Salt? Il cognato che aveva una carbonaia non distante dal Botro della Lupa? Un pretendente deluso?
Non lo sapremo mai, il suo abito nuziale Elvira Orlandini lo indossò per essere sepolta nel Cimitero di Toiano. Ugo Ancillotti, morì nel 2013 a 91 anni e restò il solo e unico imputato di quell’omicidio.
Sul luogo del crimine, a ricordo della Bella Elvira, fu eretto un cippo commemorativo, dove ancora oggi qualcuno si reca a deporre un fiore.
@menticriminali Se vuoi ascoltare la puntata completa segui il link in bio! #serialkiller #truecrime #truecrimetok #truecrimetiktoker #truecrimetiktok #serialkillerpodcast #serialkillerfact #serialkillertok #crimetok #murdertok #killer #crimestory #fy #fyp #foryou #viral #assassiniseriali #labellaelvira #omicidiocorpusdomini #omicidioorlandini #elviraorlandini #omicidiolabellaelvira ♬ suono originale – Menti criminali.it