Roma, 19 ottobre 1945 – In uno scenario ancora segnato dalle ferite della guerra, la capitale italiana si ritrova a fronteggiare un efferato duplice omicidio che scuote la comunità di Piazza Vittorio Emanuele I. Le sorelle Cataldi, Franca di diciassette e Lidia ventiquattro anni, diventano protagoniste di un orribile crimine, un caso eclatante, che vede come vittime Angela Barrucca e il suo piccolo figlio Gianni.
La storia
All’interno 13 di uno degli antichi palazzi edificati intorno a Piazza Vittorio Emanuele I a Roma, le sorelle Franca e Lidia Cataldi, di diciassette e ventiquattro anni, compiono un efferato duplice delitto uccidendo barbaramente, appena un mese dopo la fine del secondo conflitto mondiale, Angela Barrucca di trentaquattro anni e il figlioletto Gianni di appena due anni e mezzo.
Il 19 ottobre 1945 era un giorno come tanti. La guerra era finita da poco, ed era troppo presto perché tutto tornasse alla normalità, però la ritrovata tranquillità bastava e avanzava. Forse, la vedeva così Angela Barrucca, una bella donna originaria di Colleferro, che grazie al matrimonio con il commerciante Pietro Belli si trasferì a Roma in un appartamento signorile al civico 70 di Piazza Vittorio Emanuele I.
Angela era una moglie devota e madre premurosa di tre figli, e nonostante la fame dilagante del dopo guerra, grazie al lavoro del marito conduceva una vita abbastanza agiata.
Quella mattina Angela usci di casa per accompagnare i due figli più grandi a scuola; Gianni, invece, che aveva solo due anni o poco più, era troppo piccolo per frequentare la scuola, così, lo portò con sé al mercato e poi tornarono a casa.
Qualche tempo prima la giovane donna conobbe a Roma due compaesane: Lidia e Franca Cataldi. Due sorelle Cataldi piuttosto sfortunate in quanto dopo la chiusura della macelleria del padre e la distruzione della loro casa durante i bombardamenti, furono costrette a sfollare a Roma.
Nella capitale però non trovarono lavoro, erano senza fissa dimora e soprattutto non avevano soldi, riuscivano solo ad arrangiarsi con la borsa nera.
Angela, che era una donna di buon cuore, provo pietà e iniziò a regalare loro cibo, abiti che non indossava più e soprattutto denaro.
Tutto questo per svariati mesi, finché le richieste delle sorelle Cataldi non diventarono sempre più frequenti e pressanti, tanto che, dopo essersi consultata con il marito e accortasi che dopo ogni loro visita spariva qualcosa da casa, decise di non aiutarle più.
Mancavano pochi minuti alle 9, Angela era tornata da poco a casa con Gianni, quando all’improvviso, il campanello suonò. La Barrucca andò a rispondere e si trovò davanti Franca e Lidia, di nuovo.
Di sicuro le sorelle Cataldi erano di nuovo lì per chiederle dei soldi, le invitò a salire perché era convinta che finalmente avrebbe potuto dire loro che non era più disposta ad aiutarle.
Questa volta, però, le due donne miravano ad altro: le due pellicce di volpe argentata che avevano adocchiato durante le loro visite e per le quali c’era già pronta un’acquirente: una facoltosa signora di Cesano.
La vendita avrebbe portato loro tanti soldi da stare tranquille per un bel po’.
L’aggressione
Le sorelle Cataldi tentarono di farsi consegnare del denaro, Angela rifiutò minacciando di denunciarle, di contro la immobilizzarono sul divano, poi iniziarono a picchiarla selvaggiamente finché Lidia non estrasse un coltello da cucina che si era portata dietro (elemento che durante il processo convalidò la tesi dell’omicidio volontario) e le tagliò la gola.
L’ultimo sfregio alla donna che si era tanto prodigata per loro. Il tutto si compi davanti al piccolo Gianni che piangeva e urlava disperato. Le due per paura che il bambino potesse riconoscerle e testimoniare, cosa alquanto improbabile considerata l’età, lo portarono in bagno, Lidia in piena furia omicida lo sgozzò, tagliandogli la parte posteriore della testa e lo depose nella vasca da bagno.
Franca si ferì la mano nel vano tentativo di strappare il coltello dalle mani della sorella, l’unico spiraglio di umanità in tanta ferocia. Ma fu tutto vano.
A questo punto iniziarono a riempire due valigie con gli oggetti di valore e le due pellicce, poi fuggirono lasciando le porta socchiusa e gettando il coltello nei pressi della Piazza.
Intorno alle 10,20 Enrico Ponti si recò a casa di sua cugina Angela Burrucca. Quando giunse sul pianerottolo dell’appartamento, Ponti si insospettì vedendo la porta d’ingresso dell’abitazione accostata.
Entrò in casa e sul divano del salotto, scoprì con il cadavere di Angela. Aveva il volto coperto da un drappo rosso, intriso di sangue.
Intorno, evidenti tracce di una furiosa colluttazione. In bagno, all’interno della vasca, Ponti rinvenne poi il cadavere del bambino, anch’esso con la gola profondamente lacerata, la testa quasi del tutto recisa dal collo.
Il portiere dello stabile, immediatamente informato del duplice omicidio, chiamò la Polizia.
L’intervento della Polizia
Le forze dell’ordine accorsero sul posto intorno alle 10.45. Qui furono raggiunti poco dopo dal Dottor Marrocco della Squadra Mobile e dai suoi collaboratori.
Iniziarono subito a indagare e interrogarono Cesare Betti, portiere dello stabile, che si rivelò poi il testimone chiave. L’uomo dichiarò di aver visto due ragazze scendere velocemente le scale, le conosceva bene perché frequentavano abitualmente la vittima: erano le sorelle Cataldi.
Non essendo due assassine di professione, vennero notate da molti durante la fuga. Le due vennero trovate un paio di ore dopo in Piazza della Repubblica, erano ferme al capolinea della corriera per Cesano.
Poco dopo in un cespuglio venne rinvenuto anche il coltello usato per la carneficina.
Le sorelle Cataldi messe alle strette confessarono tutto: dall’ennesima richiesta di solti fatta a Angela, al suo rifiuto, dal pestaggio al suo omicidio e a quello del piccolo Gianni.
Il caso sconvolse l’opinione pubblica per l’assoluta ingratitudine delle due donne e la brutalità nell’uccidere senza problemi la donna che aveva fatto molto per loro quando era in vita.
Le due sorelle vennero portate alle Mantellate, il settore femminile di Regina Coeli, dove le aspettava una folla di più di mille persone, per la maggior parte donne, pronte a linciarle.
Vennero fatte passare attraverso un’altra porta e il peggio venne così evitato.
Il 23 ottobre nella chiesa di Sant’Eusebio migliaia di persone parteciparono ai funerali delle vittime che vennero tumulate nel cimitero del Verano. I funerali costituirono uno dei più importanti e sentiti eventi della Roma liberata.
Il processo alle sorelle Cataldi
Nell’aprile del 1945 iniziò il processo che si concluse sette anni dopo l’omicidio. Durante le sedute in aula quello che colpì maggiormente era il modo di porsi delle imputate che palesarono atteggiamenti diversi.
Lidia totalmente priva di emozioni, anche quando venne portata sulle scene del crimine, mentre Franca piangeva e si lamentava.
Durante i dibattimenti vennero presentati i documenti in cui le testimonianze rilasciate mettevano in evidenza la crudeltà, la mancanza di qualsiasi umanità che animava le due assassine.
L’11 aprile 1953 viene emessa la sentenza contro le sorelle Cataldi. La prima venne condannata all’ergastolo, con quattro anni di isolamento diurno e a una pena pecuniaria di quarantamila lire (verosimilmente mai pagata), la seconda a trent’anni di reclusione e a una pena pecuniaria di ventimila lire.
Il ricorso in appello verune respinto presentato dalle due donne venne respinto.
Intorno alle sorelle Cataldi girava anche uno squallido mondo di ricettatori tali Giosuè Marsi, Galliano Frate, Ettore Azzi, ai quali erano destinate le pellicce di volpe argentata e qualche gioiello di Angela Barrucca.
Uno o due anni di reclusione e qualche migliaio di lire di multa fu la pena per avere indirettamente partecipato al tragico episodio che aveva scosso indelebilmente la popolazione di Roma.
Non è insolito che i casi di cronaca nera, specialmente i più eclatanti, costituiscono fonte di ispirazione per opere letterarie o pellicole cinematografiche.
Anche il delitto commesso dalle sorelle Cataldi sembra aver avuto questa sorte, fornendo utili spunti per uno dei romanzi più significativo della letteratura italiana del secondo dopoguerra.
La letteratura
“Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana” di Carlo Emilio Gadda, apparso a puntate sulla rivista “Letteratura” nel 1946 e riunito in un volume, con revisioni e ampliamenti, nel 1957, è incentrato sulle indagini relative a un cruento omicidio commesso in un palazzo di Roma.
Alcuni studiosi hanno posto in evidenza molte analogie, in termini di descrizione della scena del crimine e della dinamica dell’evento, tra la vicenda letteraria e il delitto commesso dalle Sorelle Cataldi.
La storia letteraria si intreccia così alla realtà. Una storia fatta di contrasti: povertà e agiatezza, carità e invidia, benevolenza e ingratitudine. La guerra aveva lasciato dietro di sé miseria e fame. Ma in quegli anni difficili c’era chi, come Angela, era riuscito a crearsi una posizione solida e rispettabile, e poi c’era chi, come le sorelle Cataldi, al contrario si arrangiavano per poter tirare avanti.
Angela, nonostante facesse del bene, era ciò che Lidia e Franca avrebbero voluto essere e possedeva ciò che loro avrebbero voluto avere. Quello che le due sorelle provavano per Angela non era ammirazione ma invidia che però non può giustificare assolutamente tanta crudeltà.
Il coltello usato dalle due donne, rinvenuto subito dopo il duplice omicidio in un cespuglio di Piazza Vittorio Emanuele I, è custodito al Museo Criminologico di Roma.
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