Roma, 1994 – In una storia che sembra uscita da un film dell’orrore, la tranquillità del quartiere Quadraro di Roma viene sconvolta dai crimini di Elvino Gargiulo, un uomo la cui vita è stata segnata da violenza, perversione e omicidi. La sua storia, che coinvolge anche i minori, rappresenta uno degli episodi più eclatanti, oscuri e depravati della cronaca romana.
La storia
Elvino Gargiulo originario di Meta, un piccolo paesino del napoletano, all’epoca dei fatti, viveva a Roma in via Demetriade 10. Il 71enne faceva il rigattiere ed era conosciuto per le sue inclinazioni decisamente sadiche. Era un uomo scontroso, irascibile e perfino violento, era noto anche come adescatore di bambini, perversione che gli costò diversi arresti per furto, lesioni e molestie su minori. Era poligamo, avendo sposato contemporaneamente tre donne e per questo venne arrestato per bigamia.
Ebbe due figli e quando rimase solo, i bambini furono portati in orfanotrofio dove trascorsero lunghi periodi che corrispondevano alle permanenze dell’uomo in carcere.
Quando Elvino Gargiulo tornava a casa e con lui i figli, non nascondeva il suo lato violento. Stuprò ripetutamente sua figlia a partire dai 7 anni e stessa sorte toccò a suo figlio Mario di un anno più grande della sorella, che fu vittima del padre per otto anni, anzi, arrivò addirittura a metterlo per un po’ di tempo nelle mani di un pedofilo.
In diverse occasioni, Elvino Gargiulo, aveva costretto i figli a mangiare per cena i topi che lui stesso uccideva, cucinava e serviva a tavola solo per puro sadismo.
I Gargiulo vivevano in una catapecchia piccola e sporca, in via Demetriade, nella zona del Quadraro. Qui Elvino costringeva il figlio Mario che era rimasto a vivere con lui, e che era affetto da problemi di ritardo mentale, a partecipare ai suoi giochi perversi.
Elvino Gargiulo aveva degli impulsi sessuali molto forti e spesso accoglieva anche donne allo sbando nella sua baracca per soddisfare le sue voglie.
Nell’estate del 1991 ospitò Luigina Giumenta 56enne e la nipote, Valentina Palladini, di 10 anni,. Ma delle due, dopo la permanenza presso casa di Gargiulo, si persero le tracce.
La scomparsa di Luca Amorese
Era il 13 novembre del 1994 quando un ragazzo di quattordici anni, Luca Amorese, detto il “Pelé del Quadraro” scomparve nel nulla.
Quel pomeriggio dopo aver finito i compiti era uscito con la sua vespa e non aveva più fatto rientro a casa. Il padre preoccupato chiamò la polizia e iniziarono subito le ricerche, a cui partecipò tutto il quartiere ma non portarono a nulla, nessun indizio sembrò emergere.
La madre di Luca nei giorni successivi la scomparsa del figlio, ricevette una lettera, nella quale, Luca, gli comunicava che stava bene e che aveva trovato qualcuno che lo amava. La donna riconobbe l’autenticità della firma del figlio, ma non del testo che, sicuramente, era stato scritto da qualcun altro.
I suoi amici raccontarono che nelle ultime settimane Luca non era andato più a scuola, che frequentava persone sconosciute e, pur essendo di famiglia molto povera, vestiva costosi capi firmati e aveva sempre molti soldi in tasca. Chi gli aveva venduto il motorino disse che quando Luca lo pagò aveva banconote da centomila lire nascoste ovunque, persino nei calzini.
Un mese dopo la sparizione del ragazzo, i Carabinieri varcarono il cancello di via Demetriade per cercare Luca. Durante il sopralluogo trovarono i resti smontati della vespa del giovane. Evelino sostenne che era stato proprio il ragazzo a vendergliela prima di allontanarsi a bordo di un’auto di grossa cilindrata guidata da una persona adulta.
Le indagini su Elvino Gargiulo
Le attenzioni si concentrarono proprio attorno ai due Gargiulo, padre e figlio. Iniziò così la perquisizione all’interno della baracca, che portò al ritrovamento di un’agenda, da dove era stata strappata la pagina sulla quale Luca avrebbe scritto la lettera recapitata ai genitori.
Si scoprì anche che, da qualche tempo, Luca non era l’unico a frequentare la casupola di Elvino Gargiulo e anche altri ragazzini della zona erano soliti andarci e si venne a sapere che venivano pagati dall’uomo in cambio di una rapida prestazione sessuale. L’uomo regalava loro qualche biglietto da 1000 lire e dei giornaletti porno.
Le indagini subirono una svolta inaspettata in seguito alla confessione spontanea di Mario, il quale ammise di essere responsabile, insieme al padre, dell’omicidio di Luigina Giumento e della nipote Valentina Palladini.
Il 12 dicembre 1995 si provvide al fermo dei due che sfociò in un primo rinvio a giudizio nel 1996.
Il processo a Elvino Gargiulo e al figlio Mario
La prima udienza fu celebrata il 15 gennaio 1997.
Il 19 febbraio nell’aula bunker di Rebibbia davanti alla seconda corte d’Assise riprese il processo di Elvino e Mario Gargiulo, accusati di aver fatto sparire nella loro catapecchia Luigina Giumento e Valentina Palladini. Rimase fuori dal processo il caso di Luca Amorese. La scomparsa del ragazzo non era direttamente collegabile a quella delle due donne, ma si temeva che nessuno dei tre scomparsi era più uscito da quel cancello.
Il 22 febbraio la Corte d’Assise si trasferì al Tribunale di Piazzale Clodio.
Con le nuove udienze si sperava di far luce anche sul mistero che riguardava Luca Amorese, sparito anche lui dopo essere stato visto l’ultima volta proprio nei dintorni di quello scenario da incubo.
Patrizia Paladini, figlia di Luigina, durante la sua deposizione riferì di aver riconosciuto alcuni indumenti femminili e monili della madre, ritrovati nella casa di via Demetriade.
Nel corso del processo emerse che, in carcere a Rebibbia, Elvino Gargiulo avrebbe ammesso qualcosa. Il suo compagno di cella, Franco Vito, racconto che gli avrebbe riferito di aver ucciso le due scomparse, di averne bruciato i cadaveri e portato i resti ad Anzio e li avrebbe gettati in mare.
Tuttavia l’avvocato della difesa definì inattendibile la deposizione di Vito che avrebbe descritto circostanze apprese dai giornali e non dal Gargiulo.
Durante l’udienza depose anche Maria Campili, amica di Luigina. La donna raccontò di aver frequentato Elvino anche dopo la misteriosa scomparsa di nonna e nipote, Gargiulo le avrebbe detto che le due si trovavano in Sicilia. La Campili, seppur scettica, non chiese spiegazioni.
Dopo sei udienze il 15 marzo, fu la volta di Mario Gargiulo. L’uomo venne interrogato e parlò delle violenze sessuali perpetrategli dal padre, della morte di sua madre e del grave incedente stradale accadutogli quando aveva 12 anni. Anche la sorella di Mario in un’udienza a porte chiuse confessò di essere stata violentata dal padre.
Nel corso dell’udienza, il Pubblico Ministero lesse a Mario la versione di suo padre riguardo la scomparsa di nonna e nipote. Elvino Gargiulo aveva raccontato che quella sera suo figlio Mario e Luigina si erano appartati mentre Valentina li guardava. A un certo punto la bambina era corsa da lui gridando che Mario aveva ucciso sua nonna. Elvino Gargiulo, aggiunse, che le dette una manata alle spalle e la piccola cadde per terra. Poi aveva bevuto del whisky e si era addormentato.
La mattina dopo non trovò le due donne: erano sparite. Mario gli avrebbe confessato che era stato tutto uno scherzo per prenderlo in giro.
La versione di Mario, però, fu molto diversa.
Il suo racconto fu molto lucido: confessò che a uccidere Luigina era stato lui perché lo aveva preso in giro per le sue prestazioni sessuali “insignificanti”. La bambina fu invece uccisa a bastonate dal padre. La sera successiva fecero a pezzi i cadaveri e li bruciarono, gettando poi le ossa carbonizzate in un vecchio pozzo scavato nel giardino.
La confessione permise ai magistrati di incriminare anche il padre.
La condanna di Elvino Gargiulo
L’11 aprile 1997 dopo oltre cinque ore di Camera di Consiglio, i giudici della Corte d’Appello di Roma, emisero la sentenza: 24 anni di reclusione per Elvino Gargiulo e 16 anni per suo figlio Mario.
Al giovane furono riconosciute le attenuanti generiche e la semi-infermità mentale; condanna confermata in appello con l’aggiunta di un anno di pena in più per Mario.
Il rinvio a giudizio
Elvino Gargiulo fu poi rinviato a giudizio per il sequestro di Luca Amorese e, inoltre, per atti di libidine sul ragazzo stesso.
La decisione di processare nuovamente l’anziano rigattiere, già condannato per l’omicidio di Luigina e Valentina, fu presa in seguito alla testimonianza di una sua amica.
La donna riferì agli inquirenti che Gargiulo le chiese di scrivere su una busta l’indirizzo della famiglia Amorese, dicendo che lui non poteva farlo. Al suo rifiuto l’uomo sembrò molto seccato. La perizia calligrafica stabilì successivamente che la lettera era stata scritta dal bambino, ma che la calligrafia presente sulla busta apparteneva a un’altra persona, forse una donna.
Dalle indagini sembrò emergere che Luca, che frequentava Elvino Gargiulo, gli avesse sottratto une grossa somma (sette milioni di lire) con la quale avrebbe comprato il motorino, alcuni vestiti e fatto molti regali ad alcuni amici.
Durante il processo, particolarmente drammatica fu la deposizione della madre di “Pelè” che, rivolgendosi al rigattiere, disse: “Solo lui sa dov’è Luca, solo lui sa dove l’ha sepolto”.
Gli accertamenti sul caso di Amorese erano pero privi di un riscontro testimoniale diretto. Il 23 marzo 1998 la IX sezione del Tribunale di Roma condannò Gargiulo a 5 anni, per violenza sessuale nei confronti di minori e lo assolse dall’accusa di aver sequestrato Luca Amorese perché il fatto non sussisteva.
Ma l’inchiesta sulla scomparsa di Luca il “Pelé del Quadraro” andò avanti. Il Pubblico Ministero ottenne infatti una proroga di 6 mesi per poter proseguire le indagini.
Con la sentenza del 20 dicembre 2000, la seconda Corte d’Assise di Roma, condannò Elvino Garguilo a 22 anni di reclusione per l’omicidio di Luca Amorese.
Nel giardino del vecchio rigattiere vennero ritrovate le ossa di Luigina Grumento e Valentine Palladini. Il corpo del piccolo “Pelé” non è mai stato ritrovato.
Elvino Gargiulo è morto, ucciso nel carcere di Poggioreale a Napoli nel 2005, mentre il figlio Mario, scontata la pena detentiva, e in carico ai servizi psichiatrici.
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