Hong Kong, 1999 – In una città nota per il suo dinamismo e la sua modernità, un crimine particolarmente brutale e bizzarro, un omicidio efferato che emerge, scuotendo la comunità fino al nucleo. Questo caso, conosciuto come l’omicidio Hello Kitty, non solo sconvolge per la sua crudeltà, ma anche per l’elemento stranamente macabro che lo circonda.
Mai in Hong Kong negli ultimi anni una corte ha assistito a tanta crudeltà, depravazione, insensibilità, brutalità, violenza e ferocia.
Così si pronunciò il giudice Peter Nguyen durante il processo.
La storia
L’Omicidio di Hello Kitty è una storia raccapricciante, talmente depravata e brutale da sembrare uno dei peggiori film horror della storia del cinema, ma non è così. È una storia reale fatta di torture, violenze e morte.
Nel caldo pomeriggio del 29 maggio 1999 a Hong Kong, una ragazzina di 14 anni, che chiameremo Ah Fong, si presentò alla stazione di polizia di Tsim Sha Tsui, nel quartiere di Kowloon di Hong Kong. Era completamente terrorizzata e continuava a ripetere frasi sconnesse. Gli agenti cercarono di calmarla, ma la ragazzina continuava a blaterale parole confuse, convinta di essere perseguitata dallo spettro di una donna. I poliziotti, convinti che si trattasse di uno scherzo, tentarono in tutti i modi di allontanarla fino a che non pronunciò una frase che li fece ricredere e iniziare a reputare veritieri i suoi vaneggiamenti: “Sono perseguitata dallo spirito della donna che io e il mio ragazzo abbiamo torturato e ucciso”.
I poliziotti non ignorarono una frase del genere, quindi invitarono la ragazza a portarli nell’appartamento che si trovava al terzo piano di una palazzina al numero 31 di Tsim Sha Tsu, nel distretto commerciale Granville Road, dove secondo Ah Fong si era commesso l’omicidio Hello Kitty. Il proprietario era un 35enne: Chan Man-lok, noto signore della droga e leader di una triade. La casa fungeva da base per una serie di attività criminali in cui Chan era coinvolto tra cui: spaccio di Ice, una metanfetamina molto usata in Asia, film porno pirata, usura.
Ah Fong aveva raccontato ai poliziotti che aveva conosciuto Chan Man-lok al Big Echo Karaoke Bar tramite il suo fidanzato Leung Wai-lun. Chan aveva poi invitato la coppia a stare nel suo ampio e lussuosissimo appartamento composto da sette stanze dove non mancava nulla dalla tv via cavo alla playstation, film hollywoodiani, di Hong Kong, porno, video games vari e tanta droga. L’arredamento interno metteva in evidenza una passione sfrenata da parte di Chan Man-lok per Hello Kitty: tende, copriletti, utensili per la cucina e peluche rappresentavano la celebre icona giapponese degli anni settanta.
Quando i poliziotti entrarono trovarono con grande sorpresa una casa spoglia, quasi completamente vuota ma con evidenti segni di un recente massacro.
La ragazza, sempre più vicina ad una crisi isterica, iniziò a gridare e gli agenti cercarono di calmarla, chiedendole qualche informazione in più, a quel punto Ah Fong, gli indicò un pupazzo di Hello Kitty versione Sirena che appariva stranamente gonfio e malridotto, a terra vicino all’unico letto rimasto nella casa. Uno dei poliziotti lo raccolse e notò una cucitura piuttosto grossolana sul retro, pensando che potesse nascondere della droga iniziò a scucirlo, al suo interno invece vi trovò un teschio umano. La casa fu subito perquisita e vennero trovati altri resti umani smembrati e bolliti.
La vittima dell’omicidio Hello Kitty
Quei poveri resti appartenevano a Fan Man-yee, una ragazza di origine cinese di 23 anni, conosciuta anche come Ah Map. La sua vita era sempre stata abbastanza difficile. Quando era una bambina fu abbandonata dai genitori e crebbe nell’orfanatrofio per ragazze Ma Tau Wai. Vi restò fino ai 15 anni quando decise di scappare dall’orfanotrofio.
Da sola e senza un aiuto iniziò a frequentare un ambiente dominato dalla criminalità tanto che a 16 anni decise che l’unica soluzione era quella di entrare a farne parte: cominciò con piccoli furti ed arrivò a vendersi in strada perché, nel frattempo, era diventata dipendente dall’Ice.
Aveva anche frequentazioni con i clienti membri delle triadi locali, che inevitabilmente ruotavano attorno a droga, sesso, soldi e violenza.
Fan Man-yee continuò con la sua vita libera e dissennata per diverso tempo, fino a quando a 21 anni iniziò a lavorare come hostess al Romance Villa, un night club di Kowloon. Doveva accogliere i clienti all’interno del locale, intrattenerli, offrire loro dei drink e metterli a proprio agio.
Nel 1997, la dipendenza dalle droghe la portò a conoscere Chan Man-lok, che divenne ben presto uno dei suoi più fedeli clienti tanto da arrivare a passare moltissimo tempo con lei.
Chan, spesso quando era sotto l’effetto di metanfetamine diventava molto violento, e sfogava i suoi istinti su Fan. La loro pseudo-relazione durò circa un anno, fino a quando la ragazza, stanca delle violenze subite, decise di smettere di vederlo.
Come risarcimento per gli abusi subiti, Fan decise di rubargli il portafoglio con circa 4000$ in contanti, ma non fu una mossa saggia. Chan dopo averla picchiata, riuscì a farseli ridare indietro, ma non si limitò a questo, intimò alla ragazza di dargli ulteriori 6000$, che la povera Fan restituì con difficoltà. Chan non soddisfatto richiese altri 16000$ come interesse ma la ragazza non aveva più soldi.
Il 17 marzo Chan ordinò ai suoi due complici, Leung Shing-cho, 27 anni e Leung Wai-lun, 21 anni di rapire Fan con l’intento di farla prostituire fino a che non fosse riuscita a estinguere il suo debito. Questo segnò l’inizio della sua fine.
I tre sequestratori, quasi sempre sotto l’effetto dell’Ice non riuscivano a contenere la loro violenza che sfogavano su Fan, picchiandola selvaggiamente più volte al giorno, portandola fin quasi alla morte.
Bastarono pochi giorni perché Fan esibisse a testa bassa un volto tumefatto dalle percosse. A causa delle ferite e dei lividi, sia sul corpo che sul viso, non era più adatta a prostituirsi: nessun cliente voleva andare a letto con lei, quindi la ragazza si trovò nell’impossibilità di saldare il suo debito.
Chan, vide sfumare il suo guadagno, non sapeva più che farsene della ragazza e decise che sarebbe stato molto più divertente torturarla e usarla per divertirsi assieme ai suoi complici.
Le torture subite dalla vittima dell’omicidio Hello Kitty
Fan Man-yee divenne quindi l’oggetto delle torture dei tre che iniziarono a picchiarla per il solo gusto di vederla soffrire.
Iniziò così un macabro e agghiacciante gioco: nonostante il corpo della ragazza venisse sottoposto a sevizie di ogni genere, lei era costretta a sorridere e gridare non per il dolore, ma per dimostrare quanto era felice di essere picchiata. Se non obbediva Chan e i suoi compagni la colpivano ancora più violentemente.
Ai pestaggi partecipò anche la 14enne, che si rivelò essere la più crudele di tutti.
Le giornate dei quattro coinquilini si dividevano tra pestaggi, videogiochi e metanfetamine. Quando erano stanchi dei videogiochi, sotto l’effetto degli stupefacenti, il loro divertimento consisteva nell’infierire sul corpo già martoriato di Fan. La colpivano dapprima a mani nude, poi con cinghie, corde, fruste, oppure con barre di legno o di ferro, recuperate in giro.
Ogni giorno sperimentavano nuove tecniche per farle più male, non disdegnarono padelle, cibi congelati e coltelli. Le inserirono addirittura pezzi di pesce surgelato nelle parte intime divertendosi a sentirla urlare di dolore
Indescrivibili furono le torture che la ragazza dovette subire, in quei giochi perversi la obbligavano a ingerire urina, escrementi e chissà quali altre porcherie.
Quando si stancavano, confinavano Fan in cucina e quando venne sorpresa a rubare un po’ di cibo, fu costretta a bere olio bollente misto a grasso. La mente perversa degli aguzzini studiava sempre nuove tecniche per farla soffrire di più: una volta venne legata con dei fili elettrici e appesa a un gancio del soffitto; ognuno di loro infierì, con istinto sadico, su quel corpo martoriato.
Nonostante la ragazza fosse arrivata allo stremo delle forze, venne avvolta in un sacco di plastica e i quattro iniziarono a lacerarle tutto il corpo con un ferro rovente, non soddisfatti cosparsero le ferite con delle spezie per vedere quale le provocasse più dolore.
La morte di Fan
Finalmente una notte, dopo due mesi di torture, Fan morì all’interno del bagno in cui da qualche giorno era stata segregata, da sola, coperta di lividi e ferite, dopo che i suoi aguzzini le avevano somministrato una forte dose di droga. Il corpo senza vita venne trovato proprio dalla giovane Ah Fang. Il gioco era finito, con un cadavere le sevizie non avevano lo stesso gusto.
I quattro passarono tutto il pomeriggio a cercare una soluzione per far sparire il cadavere, senza giungere ad una conclusione. Lasciarono Fan distesa sul pavimento e se ne andarono a giocare in una sala giochi della zona e poi, una volta rientrati a casa, andarono a dormire.
Il giorno dopo Chan, di nuovo sotto l’effetto dell’Ice decise che il modo più semplice per disfarsi del corpo era quello di farlo a pezzi nella vasca da bagno. Così passarono le dieci ore successive a dissezionarla. Fu lo stesso Chan a decapitarla con una sega a mano e a mettere la sua testa nel frigorifero.
Dopo aver sezionato il cadavere in più parti, gli uomini decisero di cucinarli per impedirne la decomposizione. Misero a bollire i pezzi del corpo in una pentola piena di acqua che avevano posto sul fornello e in un’altra pentola misero a far bollire anche la testa.
Mentre le pentole con i resti erano ancora sul fuoco cominciarono a preparare da mangiare: gli spaghetti erano nella pentola accanto a quella in cui il cranio di Fan stava bollendo e utilizzarono lo stesso cucchiaio sia per girare la pasta sia il cranio
Dopo aver bollito quei poveri resti ne eliminarono la maggior parte gettandoli con i rifiuti domestici.
Alcune parti del corpo però vennero lasciate imprudentemente in giro per casa, come il cranio che venne nascosto all’interno del peluche Hello Kitty versione sirena, da cui prese il nome di Omicidio Hello Kitty.
La scoperta di questo orribile delitto ebbe da subito un’enorme risonanza mediatica e venne conosciuto in tutto il mondo grazie all’articolo di Tom Hilditch: “The Hello Kitty Murder”.
Il processo contro i responsabili dell’omicidio Hello Kitty
I tre aguzzini vennero arrestati e processati. Durante tutto l’iter giudiziario che durò 6 settimane, i tre negarono di aver ucciso Fan, ma ammisero di averle negato una degna sepoltura. Minimizzarono anche i loro ruoli durante il periodo in cui la ragazza venne torturata, incolpandosi l’un l’altro.
Gli avvocati difensori riuscirono a convincere la giuria che Fan non era morta per le torture subite ma per un’overdose di droga. Poiché i medici legali non riuscirono a determinarne esattamente la causa di morte la giuria si rifiutò di condannare i tre uomini per omicidio volontario.
Nel dicembre 2000, i tre vennero condannati a 20 anni di reclusione, con l’accusa di omicidio colposo e rapimento ma non per omicidio volontario poiché la giuria era convinta che non avessero ucciso la ragazza intenzionalmente, per loro la morte di Fan era sopraggiunta solo a causa delle percosse subite: in pratica, nessuno voleva ucciderla, ma soltanto infliggerle più dolore possibile.
Ah Fong, invece, a causa della sua giovane età e per aver testimoniato contro i suoi tre complici, venne considerata collaboratrice di giustizia e, pertanto, non perseguibile a norma di legge.
Rimasero però agghiaccianti le parole che pronunciò in aula:
Mi ero stancata. Ormai era a pezzi e giocare con lei non era così divertente dopo tutto, ma abbiamo continuato lo stesso a torturarla. Non c’era altro da fare, nient’altro che potessimo fare con lei. L’ho fatto per divertimento. Solo per vedere cosa si prova a fare del male a qualcuno. Ah Fang.
Prima che il palazzo dove fu commesso l’omicidio Hello Kitty venisse abbattuto, moltissime persone, medium, spiritisti o semplicemente curiosi, vi si recarono per cercare di entrare in contatto con lo spirito di Fan… senza mai riuscirci.
@menticriminali Se vuoi ascoltare la puntata completa segui il link in bio! #serialkiller #truecrime #truecrimetok #truecrimetiktoker #truecrimetiktok #serialkillerpodcast #serialkillerfact #serialkillertok #crimetok #murdertok #killer #crimestory #fy #fyp #foryou #viral #assassiniseriali #thehellokittycase #thehellokittymuder #thehellokittymurdercase ♬ suono originale – Menti criminali.it