Sardegna, Italia – In una regione ricca di antiche tradizioni e leggende, emerge la figura misteriosa e controversa di “Sa Femina Accabadora”, una presenza evocativa che affonda le sue radici nella cultura e nella storia della Sardegna. Questa figura, a metà strada tra mito e realtà, racchiude in sé un aspetto unico della tradizione sarda, offrendo uno sguardo su antiche pratiche e credenze legate alla morte e all’eutanasia. Un caso che sicuramente affascina e che ha suscitato grande interesse.
La storia della Sa Femina Accabadora
Esistono vari tipi di storie. Ci sono quelle credibili e ritenute vere per molto tempo, ma che poi si sono rivelate inventate, ci sono storie di fantasia attinenti a sfere del sentito dire che invece sono reali. E poi quelle che stanno nel mezzo, storie legate alle tradizioni che attingono dal quotidiano, dal mondo misterico, dall’aldilà e dai rituali contadini.
E sono storie queste, di solito destinate a una posizione di confine tra realtà e magia, verità storica e leggenda, consegnate alla fama solo attraverso le voci del popolo.
È questo il caso della “sa femina accabadora” che appare come una controversa figura di donna del folclore sardo. Il suo nome potrebbe essere tradotto come “colei che finisce” e potrebbe affondare le sue radici nello spagnolo acabar o al termine sardo accabaddare, che ha molti significati tra cui “incrociare le mani a un morto”.
Anche il tema a cui è connessa è piuttosto spinoso: l’eutanasia.
Si tratta evidentemente di una figura inquietante, tra mito e realtà, argomento tabù all’interno delle famiglie stesse. Era chiamata a un compito macabro, quanto compassionevole. Spesso si trattava della stessa figura, custode di antiche pratiche curative, cui in paese si rivolgevano per guarire dei mali, togliere il malocchio.
Quello della S’Accabadora è un cerimoniale pagano che affonda le proprie radici in epoca arcaica, ma perdurato nelle comunità rurali della Sardegna fino ai primi anni del 1950, periodo in cui risalgono le ultime attestazioni.
Gli ultimi episodi noti, avvennero a Luras nel 1929 e a Orgosolo nel 1952.
La leggenda della Sa Femina Accabadora
Alcuni sono convinti che l’Accabadora non sia mai esistita, altri che fosse una figura ben definita e che aveva il compito di praticare una sorta di eutanasia su persone morenti. Non veniva considerata assolutamente un’assassina ma veniva chiamata proprio dai parenti dell’ammalato. Il suo compito era solo quello di procurare una morte rapida e indolore.
Rispetto all’utilità pratica sull’operato dell’Accabadora, bisogna ricordare che la popolazione sarda basava la sua economia sull’agricoltura e sulla pastorizia e che, in questo contesto, le cure protratte ad ammalati senza possibilità di guarigione sottraevano tempo e risorse vitali al lavoro e alla stessa sussistenza dell’intero nucleo familiare.
Come agiva la Sa Femina Accabadora
La figura legata all’Accabadora è quella che solitamente associamo all’immaginario collettivo della morte: completamente vestita di nero “sa femina accabadora” agiva di notte entrando con il viso coperto nella casa del malato. Proprio lì, gli procurava la morte che avveniva in maniera rituale.
Dopo aver allontanato tutti i familiari dalla stanza, toglieva al moribondo quegli amuleti che magari ancora portava con sé, e anche le immagini sacre presenti nella stanza, considerate una protezione, quindi un impedimento alla partenza.
Su cosa succedesse a questo punto nella stanza del moribondo ci sono diverse teorie che variavano a seconda del luogo in cui venivano praticate: c’è chi sostiene che causasse la morte per soffocamento attraverso un cuscino, oppure che strangolasse il morente ponendo il collo tra le sue gambe, o ancora che lo colpisse in un preciso punto del capo, della fronte o della nuca con uno specie di martelletto di legno d’ulivo chiamato su mazzolu, c’è anche chi dice che utilizzasse anche un giogo posto sotto la nuca e che con un colpo avrebbe dovuto provocare una morte istantanea.
“Sa femina accabadora” andava poi via in punta di piedi, quasi avesse compiuto una missione, e i familiari del malato le esprimevano profonda gratitudine per il servizio reso al loro congiunto, offrendole prodotti della terra. La pratica non doveva assolutamente essere ricompensata con denaro, poiché il pagare per dare la morte era contrario ai dettami religiosi e della superstizione.
In Gallura, nel Museo Etnografico di Luras, è conservato l’unico “mazzolu” di cui abbiamo traccia. Appartenne a una donna che operava sia come levatrice sia come accabadora, fino agli anni ’40 del secolo scorso.
Non deve stupire che in diversi racconti la figura dell’accabadora coincida con quella della levatrice, perché in passato la nascita e la morte venivano considerati momenti naturali del ciclo della vita.
È davvero difficile dire quanto di vero ci sia in queste storie e quanto invece sia frutto di credenze e superstizioni che vengono tramandate di generazione in generazione nei secoli.
Certa è pero la presenza di un corredo di testimonianze e memorie e anche di proverbi tradizionali che lasciano pensare che il fenomeno sia comunque esistito.
La mia esperienza
Per quel che mi riguarda ho provato a chiedere a degli amici sardi cosa sapevano sulla “femina accabadora”, mi hanno risposto che le loro nonne raccontavano sempre di questa figura che veniva chiamata quando in una casa c’era un moribondo. Provate a chiedere anche voi se conoscete persone originarie di quella splendida terra che è la Sardegna… sentite cosa vi risponderanno.
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